Pratiche mensili
CIO' CHE OSCURA IL CUORE
[...]Ogni nostra azione ci presenta i suoi effetti, o subito o dopo un certo periodo. Ogni azione ha una conseguenza. Essa può anche assumere la forma di una traccia che influenzerà l'azione successiva. Ad esempio se ci siamo comportati gentilmente con una persona, un po' della nostra gentilezza influirà sul modo in cui costei si comporterà con le persone che incontra a sua volta. E' un processo continuo: un'azione ne influenza un'altra, e così via all'infinito. Per questo occorre rimanere vigili in qualunque nostra azione.
Che possibilità abbiamo per impedire che le nostre azioni producano conseguenze negative, di cui in seguito potremmo pentirci? Una possibilità è il dhyana, che in questo contesto significa "riflessione". La riflessione può assumere varie forme. Ad esempio, di fronte a una decisione importante possiamo immaginare di fare l'opposto di quello che ci suggerisce l'istinto. Cercate di immaginare con la maggior vividezza possibile le conseguenze della vostra azione. Non importa quali siano queste conseguenze e come vi sentire al riguardo; la cosa importante, prima di prendere una decisione importante e metterla in atto, concedervi la possibilità di considerare il problema con la mente aperta e un certo grado di oggettività. In questo modo di procedere, dhyana è un'attenta e tranquilla considerazione o riflessione. Lo scopo è quello di liberarci dai preconcetti e di non compiere azioni di cui in seguito possiamo pentirci o che possono causarci altri problemi (dukha).
Il dhyana rafforza l'autosufficienza. Lo yoga ci rende indipendenti. Tutti vogliamo essere liberi, anche se molti dipendono dagli psicologi, dai guru, dai maestri, dalle droghe o da qualsiasi altra cosa. Consigli e suggerimento sono utili, ma alla fine siamo noi i migliori giudici delle nostre azioni. Nessuno è più interessato a noi di noi stessi. Il dhyana ci aiuta a trovare il sistema giusto per prendere decisioni e comprendere meglio il nostro comportamento.
Ci sono tanti metodi per prendere le distanze dalle nostre azioni, oltre a immaginare di agire esattamente all'opposto di come vorremmo. Possiamo anche andare a d ascoltare un concerto, fare una passeggiata o qualunque altra cosa calmi la nostra mente. Nel frattempo la mente continua il suo lavorio inconscio senza essere sottoposta a pressioni. Dedicarsi ad altro equivale a pensare un po' le distanze. Diamo alla mente il tempo, anche se breve, di considerare tutti gli aspetti della decisione da prendere. Distanziamoci per breve tempo e con un po' di tranquillità, forse decideremo nel modo migliore. Distanziarsi da una situazione per osservarla meglio da un altro punto di vista si chiama pratipaksa. Con la stessa parola viene indicato il processo di considerare altri possibili modi di agire. Il tempo dedicato al dhyana è estremamente importante. Grazie alla riflessione, le nostre azioni guadagnano in qualità.
Ad avidya (ignoranza oscurante la percezione della nostra natura profonda) è strettamente legato dukha. Viene variamente tradotto con "sofferenza", "dolore", "infermità", ma la spiegazione migliore è la sensazione di ristrettezza, di costrizione. Dukha è una qualità della mente che ci dà la sensazione di essere schiacciati. Non va visto come dolore fisico, perché non c'è bisogno di nessun dolore fisico per provare un grande senso di dukha. Il livello su chi il dukha lavora è quello della mente. Il dukha è uno stato mentale in cui ci sentiamo limitati nelle possibilità di agire e di comprendere. Anche se non stiamo scoppiando in lacrime, sentiamo nel nostro profondo che qualcosa non va, ci sentiamo dolorosamente limitati e ristretti.
Quando invece proviamo leggerezza e apertura interiore stiamo sperimentando l'opposto di dukha, uno stato chiamato sukha. Il concetto di dukha è di particolare rilevanza non solo nello yoga, ma in tutte le filosofie indiane. In ogni momento della vita di un essere è presente dukha e tutti noi abbiamo il compito di eliminarlo. Questo è lo scopo dello yoga. [...]
T.K.V Desikachar, Il cuore dello yoga, Roma, Ubaldini Editore, 1997